L’Australia ha recentemente approvato una legge che tutela il “diritto alla disconnessione”. Sarebbe a dire che dopo l’orario di lavoro i lavoratori sono messi al riparo dalla pressione di dover rispondere a messaggi, telefonate, mail che riguardano la loro attività lavorativa.
Su questa scia anche in Italia proprio in questi giorni è stata depositata alla Camera una proposta di legge che si chiama “Lavoro e poi stacco” che prevede misure di tutela per i lavoratori nei confronti dell’invasione del lavoro nella sfera del tempo libero.
L’abitudine alla responsività generalizzata è pratica sempre più diffusa, soprattutto dopo la rivoluzione che il Covid ha portato nella strutturazione delle modalità lavorative. Da una parte le varie declinazioni del lavoro agile sono andate incontro alla necessità dei lavoratori di migliorare l’organizzazione di un quotidiano sempre più complesso e affollato, d’altra parte però si è resa sempre più labile la cesura tra il mondo del lavoro e il mondo della vita privata. Un fenomeno sociale senz’altro molto articolato, che si inserisce nella profonda revisione dell’universo del lavoro, e che estende la sua eco anche nella sua rappresentazione psichica collettiva.
E’ senz’altro mutata nel tempo la dimensione identitaria del lavoro. Le carriere seguono traiettorie imprevedibili e spesso incerte, la sequenza che lega la formazione e l’attività lavorativa è spesso fratturata, incoerente, inattendibile.
Nel 2022 è fiorito il trend del “quiet quitting”, che letteralmente significa “abbandono silenzioso” e che fotografa il fenomeno del lento sottrarsi alla pressione delle richieste del contesto lavorativo: fare il minimo indispensabile, non coinvolgersi con la mission aziendale, non colludere con le richieste performative: in una parola, disimpegnarsi. Soluzione insatura, tuttavia, perché al lavoro è ancora dedicato molto tempo della vita individuale, perché la cultura performativa è sempre molto forte, perché la visione del futuro si addensa e preoccupa.
Tutto questo produce insoddisfazione e smarrimento, ed è un esito che non coinvolge solo i dipendenti, ma anche chi lavora in posizioni apicali. Si parla diffusamente delle variabili psichiche nei contesti lavorativi, ma come davvero integrare aspetti come la crescente digitalizzazione, l’uso massiccio delle piattaforme come intermediari tra ruoli decisionali e base nelle organizzazioni, la frammentazione dei processi, la necessità di arginare i fenomeni di disinvestimento identitario/affettivo nella sfera lavorativa, con la valorizzazione reale delle persone al lavoro?
Da un lato ci si aspetta che la diffusione dell’AI (Artificial Intelligence) e dell’ICT (Information and Communication Technologies), l’automazione avanzata e le pratiche di gestione basate sugli algoritmi aumentino la produttività. Dall’altro già si osserva che la diffusa spersonalizzazione dei processi si traduce in sovraccarichi cognitivi e pressione emotiva a carico dei lavoratori.
In uno scenario così articolato e in un certo senso psicogeno, il contributo della psicologia è molto proficuo.
Il gruppo di Psicologia del Lavoro dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, coordinato da Marco Vitiello, e i suoi diversi sottogruppi, hanno dato vita negli ultimi anni a moltissimi progetti per rispondere alle emergenze di questo nuovo scenario, con output che spaziano dall’analisi dei contesti, alla ricerca-intervento, alle estese collaborazioni, agli interventi diretti sul campo.
Il più recente dei risultati è l’indagine che nasce da un protocollo operativo stipulato con Università La Sapienza e AIDP (Associazione Italiana Direzione del Personale LAZIO) che ha indagato come e in che misura le dimensioni del Capitale Psicologico e delle Capacità Agentiche sono prese in considerazione da parte delle aziende nei processi di selezione, formazione e valutazione del potenziale e delle prestazioni, e che impatto ha questa relazione sul benessere lavorativo in senso lato.
Giusto per entrare più efficacemente nel merito della ricerca ricordiamo che per Capitale Psicologico si intende il patrimonio di risorse psicologiche afferenti ai costrutti di Determinazione, Autoefficacia, Resilienza e Ottimismo, che la ricerca ha dimostrato essere correlate positivamente a performance di rilievo, impegno e soddisfazione lavorativa e negativamente a stress, burnout, e assenteismo. Le Capacità Agentiche invece rappresentano i processi cognitivi di base che influenzano la capacità dell’individuo di agire trasformativamente su se stesso e sull’ambiente: Anticipazione, Autoriflessione, Autoregolazione e Apprendimento vicario.
Dalla ricerca è emerso che la maggior parte delle diverse aziende medio-grandi coinvolte nell’esplorazione è sensibile a investire su queste dimensioni nel futuro in relazione al proprio contesto organizzativo con le finalità di implementare la motivazione e il coinvolgimento dei lavoratori nei confronti del lavoro, massimizzare la valorizzazione dei talenti e collaborare alla crescita della cultura aziendale.
Come a dire: il terreno è pronto, si lavora per uno sviluppo coerente a trovare risposte più sensibili e integre alle sfide della contemporaneità.
Link utili
- Orienta day
- Evento Risorse Personali e Competenze nelle Organizzazioni
- Protocollo d’intesa con il Consiglio Regionale del Lazio
- Protocollo d'intesa con la Regione Lazio
- Rischi psicosociali nei luoghi di lavoro