Nel nostro Paese, attualmente, oltre 3 milioni di persone sono affette da disturbi del comportamento alimentare. A destare particolare preoccupazione è la quota crescente di giovanissimi interessati, tale da tenere sotto pressione le strutture sanitarie di tutta Italia. Nella Capitale la “Casa di Alice”, servizio dedicato ai DCA nella Asl Rm3 (utenza di 607.800 abitanti), delle 317 valutazioni del disturbo effettuate negli ultimi due anni, il 10% ha riguardato bambini tra i 7-14 anni.
Per offrire una risposta concreta a questa emergenza, dopo una capillare campagna informativa su tutto il territorio regionale, l'Ordine degli Psicologi del Lazio, in collaborazione con la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza del Lazio e l’Associazione Nazionale Presidi, e con il patrocinio del Consiglio Regionale del Lazio, ha presentato il 12 dicembre a Roma il “Progetto FARO”.
L’iniziativa, pensata per sostenere insegnanti, operatori sportivi e psicologi scolastici nell’individuazione precoce e nella gestione dei disturbi del comportamento alimentare, si è svolta in due fasi: inizialmente è stata condotta una vasta indagine nelle scuole e nelle associazioni sportive della regione per raccogliere dubbi ed esigenze di chi lavora con i ragazzi; successivamente, sulla base delle evidenze emerse, un team di psicologi scolastici, dell’alimentazione e dello sport, insieme ad altri esperti, ha realizzato una “help-guide” per chiarire ogni dubbio e offrire una mappa dei centri regionali accreditati per la valutazione e la presa in carico di questi disturbi.
Per offrire una risposta concreta a questa emergenza, dopo una capillare campagna informativa su tutto il territorio regionale, l'Ordine degli Psicologi del Lazio, in collaborazione con la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza del Lazio e l’Associazione Nazionale Presidi, e con il patrocinio del Consiglio Regionale del Lazio, ha presentato il 12 dicembre a Roma il “Progetto FARO”.
L’iniziativa, pensata per sostenere insegnanti, operatori sportivi e psicologi scolastici nell’individuazione precoce e nella gestione dei disturbi del comportamento alimentare, si è svolta in due fasi: inizialmente è stata condotta una vasta indagine nelle scuole e nelle associazioni sportive della regione per raccogliere dubbi ed esigenze di chi lavora con i ragazzi; successivamente, sulla base delle evidenze emerse, un team di psicologi scolastici, dell’alimentazione e dello sport, insieme ad altri esperti, ha realizzato una “help-guide” per chiarire ogni dubbio e offrire una mappa dei centri regionali accreditati per la valutazione e la presa in carico di questi disturbi.
In apertura dell’evento la vicepresidente del Senato, sen. Licia Ronzulli, promotrice di un progetto di legge in materia di contrasto ai disturbi alimentari, ha delineato una possibile strategia d’intervento: “Per combattere efficacemente il dramma dei disturbi del comportamento alimentare, la prevenzione è la chiave di volta. La capacità di intercettare comportamenti sospetti in modo tempestivo significa mettere un argine a un male che in Italia colpisce circa 3 milioni di persone, in gran parte giovani. È necessario il coinvolgimento di famiglie, scuola, psicologi e operatori sanitari, prevedendo corsi di formazione per fornire le conoscenze necessarie a individuare e diagnosticare in tempo la malattia, come previsto dal mio disegno di legge attualmente in discussione al Senato. Il libro del 'Progetto FARO' detta linee di condotta per coloro che sono a più stretto contatto con i giovani. Informare per formare è quindi la parola d'ordine per salvare quanti più malati possibile”.
La sen. Ylenia Zambito, segretaria della Commissione Affari Sociali e Sanità promotrice di un altro testo, ha focalizzato l’attenzione sul tema delle strutture territoriali: “Come docente universitaria, ho avvertito negli anni le crescenti difficoltà psicologiche dei ragazzi e la solitudine delle famiglie nella gestione di queste problematiche. Una nostra indagine sul territorio nazionale ha rivelato che metà delle regioni non ha una rete completa di assistenza per questi disturbi, e i posti letto per ricoveri sono circa 800, l’85% dei quali al Nord. Il progetto di legge che ho presentato punta a garantire un’assistenza territoriale adeguata in ogni regione. La prevenzione è essenziale, da attuare con iniziative di sensibilizzazione nelle scuole. La vostra pubblicazione è un prodotto ben fatto, che vorrei condividere con i ragazzi della mia regione, la Toscana”.
Anche la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, dott.ssa Monica Sansoni, ha sottolineato l’importanza del progetto, aprendo alla possibilità di metterne a sistema le linee operative: “In questi anni dal mio punto di osservazione ho assistito a una vera e propria metamorfosi sociale, con un aumento impressionante di profili social e siti internet dedicati alla promozione di condotte pericolose: penso ad esempio ai siti “pro-ana”, che non si trovano nel cosiddetto “dark web”, ma in uno spazio aperto a tutti, con la possibilità di procurare danni enormi a chi non ha la maturità per valutare la pericolosità del messaggio. Penso che rispetto al tema dei DCA ci sia la necessità di attivare linee guida precise e metterle a sistema, perché il più delle volte quando ricevo delle segnalazioni si è già arrivati oltre il limite. Iniziative come quella di oggi hanno il merito di insistere sulla prevenzione e di promuovere l’aggiornamento su questi fenomeni, che sono in costante trasformazione e richiedono un monitoraggio continuo”.
Conclusi i saluti istituzionali, la dott.ssa Paola Medde, responsabile del "Progetto FARO", ha fatto un bilancio del lavoro compiuto: “Il progetto che presentiamo oggi è nato circa tre anni fa, in risposta all'allarmante aumento dei casi di disturbi alimentari tra gli adolescenti e preadolescenti. Il nostro obiettivo è stato quello di fornire un supporto concreto non solo a chi presenta il problema, ma anche alle famiglie e all'ambiente sociale che li circonda. La conoscenza delle cause del disturbo ci ha portato a costruire una strategia di intervento indirizzata agli interlocutori privilegiati facenti parte di quelle istituzioni che, quotidianamente, sono a contatto con i giovani e possono coglierne le difficoltà, fornendo risposte tempestive: le scuole e i luoghi di pratica sportiva. I risultati che abbiamo ottenuto ci soddisfano pienamente: puntare su un'alleanza tra esperti del benessere psicologico, riuniti in una rete multiprofessionale, e chi opera ‘in prima linea' nei contesti quotidiani frequentati dai ragazzi, è l'approccio più efficace per intercettare e intervenire tempestivamente su quella che è ormai un'emergenza sanitaria e sociale”.
A seguire, i co-redattori della help guide sono entrati nelle pieghe della problematica affrontata. La dott.ssa Stefania Carnevale, componente del gruppo di lavoro di “Psicologia e Alimentazione”, ha evidenziato i punti di forza del progetto: “Il disturbo alimentare è per sua natura una problematica nascosta, negata, di cui si prova vergogna. Anche per questo, il tempo che intercorre tra la sua insorgenza e il primo trattamento tende ad essere molto lungo. La help guide di FARO intende perciò accorciare il più possibile questo intervallo, mettendo in condizione insegnanti, operatori sportivi e familiari di intercettare in tempi più rapidi i segnali di un possibile disagio emotivo. La sezione sui “falsi miti”, poi, vuole contrastare quelle credenze - ad esempio la convinzione che un disturbo alimentare sia da collegarsi esclusivamente a una grave perdita di peso - che concorrono a ritardare la diagnosi del disturbo, con serie ripercussioni sulla prognosi di malattia. Infine, non va taciuta la rilevanza che, anche in termini di bilancio, una risposta tempestiva riveste per la sanità pubblica”.
“Uno degli obiettivi principali del progetto è sostenere le scuole nell'affrontare situazioni di emergenza legate al disagio giovanile e ai disturbi alimentari”, ha aggiunto il dott. Andrea Civitillo, coordinatore del gruppo di lavoro di “Psicologia e Scuola”. “Tuttavia, il nostro impegno non si esaurisce nel rispondere all'urgenza. Il progetto intende aiutare le scuole a costruire contenitori solidi e duraturi, capaci di intercettare i segnali di disagio prima che questi diventino emergenze. Intervenire esclusivamente sulle emergenze può portare a sedare emozioni che si presentano nelle forme più dirompenti, ma un approccio preventivo aiuta a comprenderle e valorizzarle”.
Come ha ricordato la dott.ssa Luana Morgilli, coordinatrice del gruppo di lavoro di “Psicologia dello Sport e dell’Esercizio Fisico”, “l'attività sportiva e l'attività fisica rappresentano per i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, la terza principale agenzia educativa a fianco della famiglia e della scuola. Per questo, al pari del contesto scolastico, anche l'ambiente sportivo diventa un vertice di osservazione significativo per identificare precocemente eventuali sintomi legati ai disturbi del comportamento alimentare. È essenziale quindi che gli operatori sportivi che lavorano con i minori abbiano una formazione e competenze specifiche rispetto a queste tematiche: per intercettare segnali di malessere e, contestualmente, svolgere con maggiore tranquillità e consapevolezza il proprio lavoro”.
La dott.ssa Cristina Costarelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi Lazio, ha auspicato una maggiore presenza degli psicologi all’interno degli istituti: “La scuola è uno spazio in cui si concentrano ed emergono molte problematiche dei ragazzi, di ogni genere. Talvolta l’insegnante rileva comportamenti preoccupanti ma non sa come intervenire. Per questo è fondamentale che in ogni scuola ci sia una figura di riferimento, uno psicologo, per supportare sia gli insegnanti sia gli studenti. Purtroppo, le amministrazioni mancano di risorse e ciò impedisce che il professionista sia strutturato adeguatamente. Noi auspichiamo che lo psicologo abbia la possibilità di agire su più livelli: sportello d'ascolto per il singolo studente; formazione degli insegnanti e del personale scolastico; progetti nelle classi, ad esempio su temi come il bullismo e la legalità. Occorre anche combattere il pregiudizio che associa il suo intervento alla medicalizzazione: lo psicologo non è lì per etichettare, ma per fornire supporto”.
Tra gli esperti, il primo a prendere la parola è stato il prof. Umberto Nizzoli, past president della Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare e presidente della Academy of Eating Disorders Europa: “Quando ragioniamo di disturbi del comportamento alimentare tendiamo ad avere uno sguardo appiattito, a richiamare come immagine simbolica quella dell'anoressia nervosa, che è ovviamente uno dei quadri, certamente il più scioccante, ma che non esaurisce il problema. I disturbi alimentari, infatti, sono molto più estesi, sfumati e complicati, e le competenze della psicologia sono essenziali per cogliere le sottili differenze sottostanti. Una maggiore presenza dello psicologo consentirebbe di intervenire in modo più sistematico agli esordi del disturbo, per compiere quel lavoro di rete insieme a famiglia, insegnanti e altre figure che costituisce il miglior antidoto all’invio in clinica psichiatrica. Altro compito essenziale della psicologia sarebbe quello di compiere un'opera di intervento sul contesto da cui la patologia ha origine: penso ad esempio all’educazione dei genitori, essenziale per trasformarli in figure in grado di intercettare precocemente e gestire il disturbo”.
La dott.ssa Roberta Trincas, dirigente psicologo della ASL RM3 nel servizio per DCA - “Casa di Alice”, ha offerto uno spaccato delle realtà operative presenti sul territorio: “Lavoro in un ambulatorio specialistico dedicato ai DCA all’interno di un CSM e di un TSMREE. Operiamo su un bacino di utenza di 4 distretti, con 607.800 abitanti. Vi ho portato alcuni dati per gettare una luce sull’entità del problema. Negli ultimi due anni abbiamo effettuato 317 valutazioni di questi disturbi e, nel 91% dei casi, si è trattato di donne. Per quanto riguarda la fascia d’età, il 33% rientrava in quella tra i 18-25 anni, il 29% tra i 15 e i 17, il 10% tra i 7-14 anni. In merito alle diagnosi, il 37% è stato di anoressia nervosa, il 20% di bulimia, il 10% di binge eating disorder, il 31% di disturbi alimentari non altrimenti specificati. Questo progetto è estremamente utile perché insiste sulla prevenzione, azione che ci manca molto, anche all'interno delle scuole. È fondamentale partire dalla base, coinvolgendo tutte le realtà quotidiane dove ragazzi vulnerabili a questo disturbo assorbono in modo disfunzionale ciò che osservano e viene detto loro. E, aggiungo, occorre farlo con figure formate, perché assistiamo sempre più spesso a soggetti non idonei che danno consigli sul regime alimentare, su come modificare le forme corporee e su molto altro, con conseguenze che possiamo immaginare”.
La dott.ssa Valeria Zanna, responsabile dell’UOS Anoressia Nervosa e Disturbi Alimentari dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù, ha insistito nel sottolineare l’importanza della competenza degli operatori: “Come ospedale pediatrico facciamo molti interventi di prevenzione e formazione, ma bisogna ammettere che se i bambini arrivano da noi, la prevenzione ha già fallito. L’esperienza di un ricovero, sia in ospedale che in day hospital, lascia segni profondi, anche traumatici: pensiamo, ad esempio, all’alimentazione forzata. Per evitare tutto questo occorre investire sulle competenze: c’è un enorme bisogno di risorse e competenze che, purtroppo, ancora mancano. Nell’ambito della neuropsichiatria infantile, ad esempio, non tutte le scuole prevedono un insegnamento dei disturbi alimentari, e analogo discorso vale per la laurea in scienze motorie. Mi pare una lacuna molto grave. Spesso, i ragazzi ci raccontano che i loro problemi nascono a scuola, nelle relazioni con i compagni, dove sperimentano derisione o esclusione sociale. Occorrono più risorse e strumenti per intercettare questo disagio. E alcune figure, penso ad esempio ai genitori, devono dimostrare una maggiore capacità di mettersi in discussione”.
La dott.ssa Mara Indrimi, responsabile UOSD Disturbi del Comportamento Alimentare della ASL RM2, ha ampliato la prospettiva sul tema della prevenzione: “L’incidenza dei disturbi alimentari è cresciuta enormemente negli ultimi anni, rendendoci impreparati a gestire una mole così importante. È fondamentale che gli psicologi siano formati specificamente sui disturbi alimentari e sulle linee guida esistenti, come previsto dal decreto 80. La prevenzione non deve limitarsi alla conoscenza dei sintomi, ma deve affrontare temi cruciali come la sensibilità al giudizio esterno, la lettura di sé attraverso l’altro, l’alfabetizzazione emotiva, il riconoscimento delle proprie percezioni. Nel percorso di cura di un disturbo del comportamento alimentare, si distinguono fasi diverse a seconda della gravità. Per garantire che il percorso sia fruibile per il paziente, è indispensabile creare una rete solida e ben funzionante che coinvolga docenti, psicologi e altre figure professionali. Bisogna anche collaborare con il settore privato, creando spazi di confronto dove gli psicologi possano interfacciarsi con ambulatori e altre realtà operative”.
Il dott. Fabio Conti, medico e coordinatore clinico delle strutture per i DNA di Villa Armonia e Villa S. Alessandro, ha offerto la prospettiva del privato accreditato: “Il mio servizio di ricovero, residenziale o semi-residenziale, si colloca al livello di intensità superiore a quello dell’ambulatorio e inferiore a quello ospedaliero. Questa filiera, definita dal decreto 80, in realtà è bidirezionale: spesso, dall’ospedale i pazienti passano alle strutture intermedie per poi passare all’ambulatorio. Il rapporto con il cibo e le problematiche connesse è vecchio come l’uomo, ma per secoli è stato oggetto di altre discipline: la storia, la letteratura, la religione. In tempi recenti, la pandemia ha rappresentato uno spartiacque. Si è abbassata l’età di insorgenza, e sempre più casi vengono presi in carico dai reparti di neuropsichiatria infantile, una realtà che prima della pandemia era meno comune. Inoltre, si è registrato un aumento significativo delle comorbidità e delle forme di sofferenza psichica correlate. Voglio aggiungere che fare prevenzione significa anche includere la lotta allo stigma, che interessa tutte le malattie psicologiche: rivolgersi a uno psicologo, infatti, significa ancora oggi, per troppi, fare una scelta che deve essere taciuta”.
Infine, dott.ssa Nadia Accetti, presidente di DonnaDonna Onlus, ha portato l’esperienza dei pazienti e della sua associazione: “Quello di cui parliamo oggi è un male che va oltre il peso corporeo, per assorbire completamente le energie fino a condurre ad atti anche terribili, perché niente è paragonabile al dolore indicibile che si prova dentro. La Onlus che ho fondato è solo uno strumento giuridico, perché tutto ciò che porto è il mio vissuto e il desiderio di metterlo a disposizione di chi soffre. Il Talmud dice: “Chi salva una vita salva il mondo intero” e, pur ess endo cristiana, ho fatto mio questo principio custodendolo come un seme. La prevenzione è fondamentale ed è fatta prima di tutto di cose semplici: la vicinanza, il contatto, la disponibilità all’ascolto. Perché chi soffre di questo male ha innanzitutto fame di vita, di relazioni, di affetto. C’è bisogno che tutti, gli specialisti, i famigliari di chi sta male, accanto a chi questo dolore lo ha già attraversato, cooperino per creare un terreno fertile da cui possa nascere una vita diversa”.