Teresa ha quasi 17 anni e frequenta il liceo scientifico. Quando dalle scuole medie è passata al liceo ha avuto qualche difficoltà ad ambientarsi nel nuovo contesto. Poi ha stretto amicizia con Agata, la sua compagna di banco, si è sentita più integrata, la sua riservatezza non sembrava più un problema. Attraverso Agata è entrata nel giro dei ragazzi più simpatici e popolari della sua classe, fino a quando qualcosa si è rotto. Qualche punzecchiatura sul fatto che parla poco, qualche allusione sui suoi sguardi che qualche volta volano lontano, qualche battuta sul suo giro vita taglia 44. Stefano, che le piace anche un po’, un giorno a ricreazione le pizzica la pancia e le chiede se da lì le avanza qualcosa per la colazione di tutti loro. E ridono, Stefano, Agata, gli altri. Certo, Agata è magrissima, si veste splendidamente, ha i capelli lucidi e perfetti. Agata appartiene al gruppo dei ragazzi popolari molto più di quanto possa fare mai Teresa, nonostante i suoi sforzi. Teresa vorrebbe parlare con Agata del suo disagio, dell’angoscia che monta quando si sente messa in mezzo e derisa. Però tentenna, tentenna fino a quando il Covid non mette tutti a casa, scuola in presenza sospesa, ritmi e socialità sconvolti. I genitori di Teresa sono farmacisti, durante il lockdown continuano a lavorare, anzi lavorano di più. Teresa passa molto tempo da sola a casa. La sua immagine, moltiplicata nelle video chiamate e nelle lezioni a distanza, le ripugna. Decide di mettersi a dieta - dice lei. In realtà inizia a non mangiare i pasti preparati che i genitori lasciano per lei. E’ facile, butta quasi tutto nell’immondizia e porta via il sacchetto, nessuna traccia. Certo, a volte la sensazione di fame le fa venire le vertigini. Allora cede, si cucina due etti di pasta e li divora, poi apre la dispensa e mangia quello che trova a tiro e che le dà più gusto: noccioline, biscotti, nutella. Pochi minuti di estasi, poi il pentimento, il senso di colpa, l’angoscia per il fallimento del suo progetto di diventare magra come Agata. Corre in bagno e vomita. Lentamente, inizia a dimagrire. Ma anche ad avere più difficoltà di concentrazione, più stanchezza, più nervosismo. I genitori notano che qualcosa non va, ma il lockdown è una categoria dell’esperienza di cui non è possibile avere la misura. Il disagio di Teresa può essere attribuito a questa straniante cattività collettiva. Teresa poi ha affinato delle strategie per cui in presenza dei genitori la sua condotta a tavola è quasi normale.
Il tempo passa, e anche il lockdown. Si torna a scuola. Si è tutti felici di rivedersi. Rivede Agata e Stefano, si abbracciano con circospezione. Agata nota che Teresa è dimagrita, le dice che sta benissimo (“Hai fatto la fame a casa? Stai benissimo!”). Teresa continua anche a scuola: mangia pochissimo, oppure mangia e poi corre in bagno a liberarsi. Però non è davvero contenta. Si sente sempre più esausta e spenta. Il desiderio di nascondersi non è finito. Il senso di inadeguatezza nei confronti degli altri è sempre lì. Un giorno a scuola sviene. E l’insegnante che è in classe sospetta che non sia solo colpa della mascherina. E’ un’insegnante giovane, gli alunni si fidano di lei. E ha studiato i disturbi del comportamento alimentare. Un giorno dopo scuola si avvicina a Teresa, le chiede come va, se qualcosa la turba o la preoccupa. A scuola da quell’anno hanno attivato uno sportello psicologico per i ragazzi, forse le piacerebbe fare due chiacchiere? La fase dell’individuazione del problema inizia da lì. Teresa crolla, inizia a piangere, poi accetta l’aiuto. Accetta che l’insegnante la presenti alla psicologa, accetta che vengano chiamati i suoi genitori per parlare tutti insieme. Accetta, poco per volta, di nominare il suo disturbo, quello che le sta succedendo: bulimia. Da lì il percorso è ancora lungo. Prevede la consultazione di specialisti, la presa in carico da parte di un’equipe multidisciplinare che si occuperà della dimensione psicologica e di quella nutrizionale del disturbo. Perché questo è il percorso necessario per affrontare i disturbi alimentari, che sono per epidemiologia tra i più pervasivi dell’adolescenza, comunque sottostimati e comunque in crescita. Ed è fondamentale riconoscerli e agire tempestivamente.
Il gruppo di lavoro Psicologia e Alimentazione dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, coordinato da Paola Medde con le colleghe Stefania Carnevale e Michela Criscuolo, ha messo a punto - con la collaborazione dei gruppi Psicologia dello Sport e dell’Esercizio Fisico e Scuola e Psicologia - il Progetto FARO, che è confluito in un denso e prezioso opuscolo, una guida per aiutare chi aiuta, ovvero chi con il mondo degli adolescenti è costantemente in contatto: gli insegnati e gli operatori sportivi in primis. Perché, con un disturbo che è purtroppo generalmente sintonico per chi ne soffre, quindi difficilissimo da contrastare, è fondamentale saper osservare, fare spazio, costruire ascolto e poi fiducia, e ancora fiducia e sostegno. Saper dire le parole giuste, saper non dire quelle sbagliate, significa accompagnare quel primo passo che inaugura il lungo percorso della cura. Esistono linee guida accreditate per il trattamento dei Disturbi Alimentari, ma il documento nato con il progetto FARO si pone nel delicato luogo dell’ “aggancio”. La competenza psicologica è quindi messa a disposizione per abitare quel luogo con strumenti adeguati di conoscenza e di intervento.
“Il coglitore nel campo di segale” sarebbe l’intraducibile trasposizione in italiano del titolo del grande romanzo di Salinger “Il giovane Holden”. Dove succede proprio questo: un adolescente sta per perdersi e sollecita con le sue indirette richieste di aiuto una competenza adulta: tenerlo prima che cada. Il progetto FARO aiuta gli adulti che si occupano di adolescenza ad allenare quella presa.