Lo Psicologo del lavoro nella valutazione dei rischi

Il modello di intervento volto a valorizzare il ruolo dello Psicologo nell’ambito della valutazione e gestione dei rischi psicosociali

Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo “ La valutazione del rischio stress lavoro-correlato con lo psicologo” che propone una modalità di intervento dello psicologo all’interno del tema salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento alla valutazione e gestione del rischio stress lavoro -correlato e, più in generale, dei rischi psicosociali in ambito organizzativo. Nella prima parte (Il ruolo dello psicologo in materia di stress e rischi psicosociali) è stato presentato lo scenario nel quale viene ad operare lo psicologo; ora viene approfondito il modello di intervento volto a valorizzare il ruolo dello Psicologo nell’ambito della valutazione e gestione dei rischi psicosociali.

Il ruolo dello Psicologo nella valutazione dei rischi psicosociali

Alla luce di quanto esposto, riteniamo che una proposizione efficace della nostra figura professionale in qualità di “Esperto”, ai sensi dei riferimenti normativi dianzi richiamati, debba basarsi su tre aspetti: le competenze specifiche acquisite, la capacità di approccio secondo una modalità relazionale di aiuto, il ruolo professionale riconosciuto.

Circa le competenze, ricordiamo che nel ruolo di Esperto (come richiamato dalle norme prima citate) [1] lo Psicologo del Lavoro, o che abbia successivamente acquisito le competenze, ha nel suo bagaglio professionale le conoscenze relative agli aspetti normativi che disciplinano la materia, le conoscenze concettuali metodologiche e strumentali per affrontare il rischio SLC, quelle organizzative per collocare la valutazione ed i possibili successivi interventi migliorativi nel contesto produttivo. Queste conoscenze sono già indicate istituzionalmente e ben si integrano anche con quanto richiesto in accordo al modello Europsy [2], mentre per questo ambito quelle cliniche sono limitate a valutazioni psicodiagnostiche sui singoli nel caso ad esempio di richiesta da parte del MC. [3]

Per le competenze relazionali facciamo riferimento all’approccio della Consulenza di processo di Edgar Schein (1984; 1986; 1998), il quale con una formula efficace sottolinea diverse concezioni delle professioni etichettando con il termine “modello di consulenza di processo” l’intervento psicologico fondato sulla produzione di conoscenza e sulla guida dell’utente-cliente per far sì che egli sia in grado di trovare soluzioni adeguate ai problemi individuati. Nella consulenza di processo, individuo, gruppo e organizzazione, da oggetto di intervento divengono soggetti che collaborano attivamente nel ricercare la soluzione ai propri problemi (Avallone 2011). Questo modo di costruire le relazioni con le parti ben si adatta alle domande d’intervento in ambito salute e sicurezza sul lavoro e sulle quali possiamo essere chiamati ad intervenire; processi dove vi è sempre la presenza di figure con formazione ed esperienze tra loro non omogenee, con relazioni talvolta caratterizzate da obiettivi diversi e conflittualità.” [4] In altri termini, attraverso la consulenza di processo, ci si pone in una ottica di relazione di aiuto seguendo una precisa impostazione. Lo sviluppo di tale capacità, oltre alla competenza organizzativa, è una chiave di successo nelle strutture produttive; d’altro canto questo tipo di approccio è parte delle competenze maturate nei corsi universitari di Psicologia e può essere utilmente impiegato nei team di gestione della valutazione dello SLC e degli altri rischi psicosociali.

Riguardo il ruolo professionale, è possibile far riferimento alla L 56/89 dove all’art. 1 si legge “La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, … in ambito      psicologico rivolte … al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità.” Contenuto rinforzato dal citato punto 4) della L. 170 /2003 “esecuzione di progetti di prevenzione e formazione sulle tematiche del rischio e della sicurezza;” ma anche dalla prima citata “La professione di Psicologo: declaratoria, elementi caratterizzanti ed atti tipici”, che se pur orientata nella Prevenzione sui contenuti relativi processi psichici certamente ci pone come riferimento di questa attività. Inoltre, la nostra titolarità alla diagnosi individuale e di gruppo ed al sostegno psicologico ci richiamano per tutte quelle attività metodologiche come, ad esempio, l’effettuazione dei focus group. Per lo svolgimento di tale tecnica qualitativa serve una valutazione professionale circa la assenza/presenza di aspetti disfunzionali psicologici emergenti che possono controindicare la validità delle soluzioni individuate dai lavoratori (presenza di acquiescenza verso un leader o litigiosità tra i componenti) o negli sportelli di ascolto per rimodulare la richiesta del singolo lavoratore. Va sottolineato che oltre la responsabilità ex art. 1176 del Codice Civile (Diligenza nell’adempimento) che consegue all’assunzione di un incarico, per la nostra professione l’iscrizione all’Albo ed il rispetto del Codice deontologico ci differenziano da altre categorie di Esperti in ambito psicosociale. In aggiunta, ci fanno portatori di un valore etico e di una responsabilità nei nostri atti professionali che costituiscono una ulteriore tutela sia per i lavoratori che per gli stessi Datori di lavoro, i quali possono dimostrare di aver attuato la valutazione a la gestione del rischio in ottemperanza al dettato dell’ art.15 punto c) “eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico”, ed all’art.28 punto d) sopra richiamato per il quale “per l’attuazione delle misure da realizzare … devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri.”

Pensiamo infine utile considerare che il recente completo posizionamento dello Psicologo tra le figure sanitarie [5] ne rafforza la posizione tra i professionisti che si devono occupare della promozione della salute negli ambienti di lavoro per quelle attività di counseling psicologico ai singoli o ai gruppi che riguardano l’empowerment finalizzato a migliorare i propri stili di vita [6]. Per sottolineare l’importanza del tema, che in una ottica complessiva di risk management sarà uno di quelli in futura evoluzione insieme ai Rischi Psicosociali ed al Benessere Organizzativo, citiamo quanto riportato dall’EU OSHA  “Integrare la salute e sicurezza e la promozione della salute nei luoghi di lavoro: tradizionalmente la salute e la sicurezza sul lavoro e la promozione della salute sul lavoro sono state considerate come ambiti diversi, essendo la promozione della salute sul lavoro focalizzata principalmente sullo stile di vita sano e su abitudini sane dei lavoratori. Con il passare del tempo, la portata della promozione della salute al lavoro si è estesa fino a includere il benessere fisico e mentale, le questioni di organizzazione del lavoro, e la sovrapposizione tra le due aree, SSL e PSL, è aumentata.” [7]

Rinnovare le modalità di proposizione alla Committenza.

Premessa la necessità di acquisire le adeguate conoscenze e competenze, se si vuole operare nel campo della sicurezza e salute sul lavoro occorre rinnovare gli approcci con cui la figura dello psicologo si propone alla Committenza. Partendo proprio dalla valorizzazione delle sue competenze. In termini di partecipazione, quindi, lo psicologo può far parte del Servizio di Prevenzione e Protezione, oppure intervenire ai team di valutazione e gestione come dipendente della struttura, sempre però in qualità di Esperto. Egli, inoltre, può essere un singolo professionista a prestazione o far parte di una società di consulenza che fornisce il servizio. Rispetto alla tempistica il suo intervento potrebbe collocarsi in una fase temporale che va dalla sola fase progettuale iniziale a tutto il processo di valutazione e di successiva eventuale gestione dei fattori di rischio, se emergenti. Rispetto poi alle attività, lo psicologo potrebbe essere chiamato ad operare nella fase di scelta e analisi degli indicatori, nella somministrazione di strumenti metodologici, nella formazione, etc.

È chiaro anche che a seconda del ruolo e della tipologia di rapporti contratti con la committenza, si modifica la relazione e la capacità di incidere in prima persona sui processi, ma vale comunque soffermarsi su alcuni aspetti generali che, indipendentemente dai contesti e dal ruolo ricoperto, permettono allo psicologo di presentarsi con le migliori chance anche se è alle prime esperienze.

In primo luogo, occorre cercare di non cadere nella sola posizione del “tecnico” esecutore di un compito sotto supervisione (es. gestione del questionario scelto da altri e le cui modalità di somministrazione sono inadeguate), perché come abbiamo visto risente degli echi di una cultura dei ruoli professionali ormai superata ed implica una delega ad altri per compiti che sono di nostra responsabilità – se da noi svolti – e questo non è coerente la figura professionale che rivestiamo. [8]

Per contro, occorre anche evitare di proporsi forzando la valutazione su contenuti o con strumenti a valenza clinica, quindi dimenticando la sua finalità indirizzata ai fattori di contenuto e contesto del lavoro ed agli indicatori di esito (c.d. eventi sentinella); parimenti occorre evitare di proporsi in modo eccessivamente concettuale portando a giustificazione della propria presenza una sequela di norme o di autori che spesso destano negli attori della sicurezza solo preoccupazione.

Seguire l’approccio della consulenza di processo potrebbe essere una modalità efficace con cui lo psicologo si pone a supporto in modo innovativo sia al DL che agli altri membri del team per chiarire l’iter, le eventuali problematiche, favorendo un confronto proprio sulle varie problematiche da affrontare, proponendo via via possibili soluzioni da discutere e condividere, anche alla luce delle sue competenze in ambito organizzativo e sui rischi. Va da sé che tutto questo poggia sia sulla padronanza della materia che sulla capacità di gestire la relazione; se manca una delle due la consulenza di processo rischia di essere inefficace e addirittura controproducente.  Si tratta di conoscenze e di capacità che hanno certamente bisogno di essere sviluppate, ma che costituiscono la base del riconoscimento del nostro ruolo, e che per dirlo con una metafora, rappresentano la nostra boa di riferimento nonostante i salti di vento. Schein asserisce che “il fattore decisivo che permette o impedisce la consulenza in situazioni umane, e che comprende personalità, dinamiche di gruppo e cultura, è la relazione che intercorre tra il consulente e la persona, il gruppo o l’organizzazione che hanno bisogno di aiuto”. [9] Noi aggiungiamo che in quanto psicologi, questa è una capacità fondamentale che dovremmo aver sviluppato insieme alla consapevolezza che nelle organizzazioni l’apprendimento generato negli attori della sicurezza è una leva preziosa da non sottovalutare, anche per il significato etico del nostro lavoro.

Conclusioni

Nelle organizzazioni, in special modo quelle complesse, il tema della prevenzione in materia di sicurezza e salute, dovrà sempre più confrontarsi con le modifiche tecniche e procedurali legate ai cambiamenti produttivi e contrattuali, all’informatizzazione, all’aumento dell’età dei lavoratori, alle diverse provenienze culturali. Per questo sarà sempre più necessario coinvolgere expertise multidisciplinari in grado di affrontare le problematiche emergenti in un’ottica complessiva di gestione.

Come abbiamo discusso nell’articolo, per il nostro specifico, possiamo rappresentare quindi un valore aggiunto sui temi di salute e sicurezza. Nella valutazione e gestione dei diversi rischi psicosociali lo Psicologo del lavoro, o che abbia acquisito le competenze in questo campo, è in grado di intervenire in qualità di Esperto attraverso la consulenza di processo in una ottica organizzativa, è competente su metodologia e strumenti e responsabile professionalmente del loro utilizzo. Si tratta di un’opportunità che tutela i lavoratori e la stessa parte datoriale anche in termini di risparmio su eventuali costi conseguenti ad una carente attività di prevenzione.

Ci sembra quindi importante cercare di condividere tale approccio uscendo da quelle logiche che non rendono giustizia alle nostre competenze ed al mandato sociale che ricopriamo, mandato che sempre più ci chiamerà ad un impegno nell’ambito delle organizzazioni.

 

[1] Oltre all’art. 6 dell’Accordo europeo del 2004 agli artt, 31 e 32 del D.Lgs. 81, si ricorda che ai sensi del Codice deontologico degli Psicologi, ai sensi degli artt. 5 e 19 , lo psicologo deve avere una specifica preparazione con riguardo al settore dove lavora.
[2] Certificazione di qualità fondata su degli standard europei di formazione accademica e professionale messo a punto dall’EFPA
[3] http://www.psy.it/allegati/slc_formazione.pdf
[4] Ibidem
[5] Si veda l’art. 01 della L. 56/89.
[6] Si veda “Parere sulla Prevenzione/Promozione in ambito psicologico” in particolare da pag. 16 http://www.psy.it/allegati/documenti_utili/Parere_promozione_prevenzione_CNOP_2012.pdf
[7] https://eguides.osha.europa.eu/all-ages/IT_it/che-cos%E2%80%99%C3%A8-la-promozione-della-salute-nei-luoghi-di-lavoro
[8] Si veda in proposito l’art. 6 del Codice deontologico degli psicologi italiani https://www.psy.it/codice-deontologico-degli-psicologi-italiani
[9] “Schein, La Consulenza di processo, pag. 255), ed. Raffaello Cortina, 2001.