Una letteratura psicoanalitica più recente (in primis Ph. Bromberg) concepisce la mente umana come normalmente soggetta a processi dissociativi, che non sarebbero solo patologici e conseguenti a eventi traumatici come si è sempre pensato, bensì un modo di funzionare che si presenta nella vita comune. Per “dissociazione” si intende la possibilità che certe parti della mente si mettano a funzionare “scollate”, indipendenti dall’insieme, per cui la condotta del soggetto si presenta incoerente, discontinua, a volte persino sorprendente nella sua diversità dall’assetto standard. L’uomo comune attraverserebbe dunque frequentemente questi stati: ne consegue che non è completamente responsabile delle sue azioni? E se sì, in che senso? Morale? Giuridico? Solo psicologico? Oppure la responsabilità si pone a un altro livello e la teoria della dissociazione non deve rischiare di diventare una teoria “giustificazionista”? (Il punto di partenza del libro è l’idea della Arendt che Eichmann fosse un “uomo comune“ e che come lui lo fossero tutti i responsabili della Shoah).
Il seminario ha affrontato questi temi e gli autori del libro “Storie di ordinaria dissociazione. Il non pensiero tra storia, arte e psicoanalisi”, a cura di Angelo Pennella con il contributo di Pietro Stampa e altri, sono intervenuti e hanno risposto alle domande dei partecipanti.