L’affrontare questo tema non può prescindere dalla conoscenza di come esso si colloca all’interno della più ampia valutazione e gestione di tutti i rischi lavorativi (es. di natura fisica, chimica, biologica, etc.), delle norme di riferimento che in Italia disciplinano il campo, delle figure chiamate ad operare sui rischi e sulle quali ricadono in primis responsabilità civili e penali, delle modalità di valutazione e di gestione delle risultanze. L’essenzialità di quanto accennato trova riscontro nella conseguente capacità di sapersi proporre e dialogare con gli altri operatori del settore all’interno di una cornice di riferimento condivisa.
Il rischio SLC è solo parzialmente sovrapponibile, per alcuni aspetti normativi e concettuali, al costrutto del Benessere Organizzativo definito nella Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 24.3.2004 e nei testi teorici di riferimento, ma anche ai rischi psicosociali in generale, dei quali costituisce solo un aspetto. In ambito internazionale infatti, nella gestione dei “rischi psicosociali” vengono compresi anche il mobbing e le violenze nei luoghi di lavoro. In tal senso è necessaria una conoscenza almeno basilare di queste differenze per rispondere adeguatamente alle richieste di analisi ed eventuale successivo intervento.
L’approccio al rischio SLC che emerge dai riferimenti normativi e di letteratura scientifica dedicata è focalizzato sui “fattori organizzativi” che potenzialmente possono causare un danno; le stesse misure di prevenzione sono elettivamente di tipo collettivo ed indirizzate a questi aspetti, finalizzate alla eliminazione o riduzione del fattore/i individuato/i. Non vengono quindi presi in considerazione in questa tipologia di valutazione i fattori extralavorativi e di personalità. L’approccio clinico, in questo campo, è così limitato solo a pochi interventi specifici come ad esempio la valutazione psicodiagnostica che può essere richiesta del Medico Competente in sede di sorveglianza sanitaria (art. 41 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.) oppure gli interventi di prevenzione terziaria.
Un altro punto da ben considerare è che le norme di riferimento e la tipologia degli interventi chiamano in causa i Datori di Lavoro (DL), i Responsabili del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP), gli addetti del Servizio Prevenzione e Protezione (ASPP), i Medici Competenti (MC) nei casi previsti dalla legge, i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza aziendali (RLS) o territoriali (RLST), i lavoratori e altre figure di Esperto talvolta coinvolte secondo necessità; questi sono gli attori della sicurezza che, pur con sensibilità e formazione spesso diversa, si occupano e sono tenuti ad occuparsi della valutazione e gestione dei rischi. Quest’ultimo è quindi un campo chiaramente multidisciplinare, oltreché per le differenti figure prima richiamate, anche per la effettiva diversità dei problemi che possono dover essere affrontati, come ad esempio il microclima, le tipologie contrattuali, le relazioni con i superiori, ecc.. In conseguenza l’apporto positivo, il valore aggiunto che possiamo dare sulla base di una acquisita professionalità come psicologi, può essere evidenziato dal fatto che siamo competenti sulle implicazioni della metodologia che viene attuata, in grado di utilizzare in particolare gli strumenti della “valutazione approfondita” e garantirne il loro uso attraverso la responsabilità professionale, attuare nei team di lavoro o direttamente con il committente un approccio secondo la modalità della “consulenza di processo” che meglio si adatta alla tipicità dei problemi da affrontare in questo campo. Questo mix di competenze, che poggia su una base di studi relativi alla Psicologia del lavoro e delle organizzazioni e sulle conoscenze del fenomeno stress in particolare legato agli ambienti lavorativi, può fare così dello psicologo non un semplice tecnico degli strumenti ma un “Esperto” della materia, affidabile interlocutore delle parti, che concorre a praticare una valutazione e gestione anche argomentabili di fronte agli organi di vigilanza, e soprattutto che collabora al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Infine, sembra utile ricordare che la finalità complessiva del nostro agire professionale, relativa al sopra citato miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza, non può che passare anche attraverso il mantenimento ed il miglioramento delle “buone prassi”. Queste ultime, oltre ad essere vantaggiose per i lavoratori ad ogni livello, sono anche utili per gli imprenditori e le organizzazioni che possono, di conseguenza, beneficiare nel tempo di maggior produttività e di quei minori costi, diretti e indiretti, dovuti ad una migliore condizione di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro.