Legge sul pedagogista. Perché è utile

Nessun riferimento all'ambito clinico, che era e rimane di competenza sanitaria, e nessuna possibile sovrapposizione con la professione psicologica

È recentemente entrata in vigore la legge 15 aprile 2024, n. 55 (pubblicata in G.U. n. 95 del 23.4.2004) Disposizioni in materia di ordinamento delle professioni pedagogiche ed educative e istituzione dei relativi albi professionali

La nuova norma definisce “pedagogista” lo "specialista (lavoratore autonomo o subordinato) dei processi educativi che esercita funzioni di coordinamento, consulenza e supervisione pedagogica per la progettazione, la gestione, la verifica e la valutazione di interventi in campo pedagogico, educativo e formativo" specificandone i requisiti per l’iscrizione ai rispettivi albi e le condizioni per l’accesso alla professione. Vengono pertanto definiti dallo Stato gli “atti tipici” della professione pedagogica, i contesti di riferimento e la finalità che li caratterizza: "[…] interventi con valenza educativa, formativa e pedagogica, in particolare nei comparti educativo, sociale, scolastico, formativo, penitenziario e socio-sanitario, quest'ultimo limitatamente agli aspetti socio-educativi, nonché attività di orientamento scolastico e professionale, di promozione culturale e di consulenza". 

Finalmente la professione pedagogica viene riconosciuta e vede definiti i confini e margini di intervento che la caratterizzano. E’ una buona notizia anche per la professione psicologica: non solo in un’ottica interprofessionale, al fine di agevolare il dialogo e il confronto sull’asse della promozione del benessere individuale e collettivo nei contesti educativi; ma anche per meglio orientare e regolamentare la stessa professione pedagogica, che sarà organizzata in sede ordinistica anche attraverso degli organi di controllo disciplinare (funzione deontologica). 

Nessun riferimento voluto dallo Stato all’ambito clinico, di competenza delle professioni sanitarie; nessuna possibile sovrapposizione con le azioni caratterizzanti la professione psicologica, come la diagnosi, il sostegno psicologico, la riabilitazione. L’ambito di intervento e il respiro professionale è molto ben definito ed è quello socio-educativo. Ma in questa direzione già andava l’Associazione Nazionale Pedagogisti Italiani (ANPE), nata nel 1990 e principale riferimento nazionale prima della norma istitutiva della professione ben specificava la connotazione socio-educativa dell’intervento del pedagogista nei vari contesti di intervento anche laddove operi presso “servizi e presidi socio-sanitari e della salute”. 

Eppure, malgrado il fine educativo dell’intervento pedagogico sia sempre stato ben definito e ad oggi anche regolamentato a livello normativo, sono diversi gli interventi pedagogici che da anni si sovrappongono a quelli psicologici. E questo a causa della disciplina non normata della “pedagogia clinica” dalla terminologia evocativa – e quindi potenzialmente suggestiva -  di un ambito di intervento e attività altre rispetto al mandato “socio-educativo”. 

Si tratta di un termine improprio per diverse ragioni. In primis perché l’ambito clinico è di competenza delle professioni sanitarie. E’ inoltre un “titolo - non titolo” poiché non riconosciuto sul piano formale/normativo e ottenuto mediate la partecipazione a percorsi formativi privati e pertanto di una professione non riconosciuta espressamente da una norma di legge che ne detta i compiti, le funzioni, le competenze, la formazione e l’ambito di operatività, come affermato da una nostra collega e per questo denunciata da un’associazione di categoria con l’accusa di aver attuato una “condotta diffamatoria posta in essere dalla convenuta integrante una lesione del diritto all’immagine ed alla reputazione”. 

Ancora prima, i Ministeri dell’Istruzione e dell’Economia sono intervenuti con dei correttivi al decreto interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182 sul piano educativo individualizzato e sulle modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità disponendo, nello specifico, l’eliminazione del riferimento, nel testo (articolo 3, comma 5), alla figura dello “psicopedagogista”. 

E diversi sono stati in tal senso gli interventi di contrasto posti in essere dalla Commissione Tutela, quale strumento strategico in seno agli ordini territoriali per vigilare sul titolo professionale e per contrastare l’esercizio abusivo della professione psicologica. Parallelamente, anche grazie al supporto della Commissione Deontologica, l’impegno è nel promuovere una maggiore consapevolezza in un’ottica di corresponsabilità tra i colleghi e le colleghe affinché non avallino azioni che si soprappongano a quelle di competenza della professione psicologica, non formino altre figure all’utilizzo di strumenti clinici e siano parte attiva nel loro contrasto (artt. 8 e 21 del C.D.).

L’intento di tutela è protettivo in primis dei portatori di interesse primario, ovvero i cittadini e le cittadine che, trovandosi in una condizione di particolare vulnerabilità, possono necessitare di un aiuto psicologico ed erroneamente rivolgersi a professionisti non titolati a prendere in carico la richiesta. Poiché non in possesso del bagaglio tecnico-scientifico atto a tutelare la salute delle persone e non legittimati dallo Stato ad erogare le attività caratterizzanti l’attività psicologica ovvero la consulenza e il sostegno psicologico, l’abilitazione/riabilitazione e la diagnosi.  

E gli scenari di rischio di sovrapposizione tra le due professioni riguardano proprio la suggestiva figura dei “pedagogisti clinici”. 

Guardando alle segnalazioni gestite, la sovrapposizione avviene soprattutto nel contesto scolastico, nell’ambito degli sportelli psicologici quando impropriamente affidati a queste figure. Ma anche in rete e presso gli studi privati. Rispetto ad attività di ascolto e sostegno psicologico. E ancora nelle attività diagnostico-valutative o riabilitative, ad esempio con bambini e adolescenti con possibili disturbi dell’apprendimento. E infine in ambito psicologico-giuridico quando al pedagogista clinico vengono affidati quesiti in materia psicologica che comportano attività clinico-valutative (ad es. nella valutazione delle competenze genitoriali). 

Non a caso, il Tribunale competente della causa civile intentata da una nota associazione di pedagogisti clinici nei confronti di una collega psicologa ha respinto le accuse evidenziando che:

"4.1.Premesso quanto sopra, venendo al caso in esame occorre evidenziare che le affermazioni censurate dall’attrice provengono dalla convenuta, che è al contempo psicologa e pedagogista, entrambe professioni ordinistiche, e invitavano gli utenti del social network a distinguere le suddette figure professionali da quella non riconosciuta dei pedagogisti clinici, di cui non esiste alcun albo disciplinato dalla legge."

L’Ordine del Lazio continuerà la sua attività di promozione della nostra professionale mettendo in campo ogni strategia utile al fine di sensibilizzare istituzioni e cittadinanza al contrasto dell’esercizio abusivo. E ad oggi potrà farlo confrontandosi con un altro ente pubblico quale riferimento privilegiato anche per condividere prassi virtuose di intervento a tutela dei cittadini e delle cittadine.

Vera Cuzzocrea
Coordinatrice della Commissione Tutela dell'Ordine degli Psicologi del Lazio