Il ruolo della psicologia nella chirurgia bariatrica

La sola chirurgia bariatrica non riesce a modificare a lungo termine gli atteggiamenti disfunzionali all'origine del rapporto problematico con il cibo

“Is there a Place for obesity in DSM V?” (Devlin M.J., 2007) è il titolo di un articolo di qualche anno fa pubblicato nell’“International Journal of Eating Disorders”, che riesamina le tematiche inerenti alla possibilità di considerare l’obesità, o alcuni aspetti dell’obesità, come un disturbo mentale inquadrabile all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell’American Psychiatric Association. Nel DSM-5 non è inserita l’obesità, anche se è statisticamente associata ad alcuni disturbi quali: binge-eating, depressione, disturbo bipolare, schizofrenia. Quindi, chi è obeso non necessariamente soffre di un disturbo psicopatologico.

Da questa riflessione ne deriva che, come psicologi, dobbiamo interrogarci sul ruolo che il comportamento umano, non necessariamente patologico, può avere sulla salute delle persone e, allo stesso tempo, capire in che modo intervenire per promuovere quelli sani o modificare quelli disfunzionali.

Ad oggi sappiamo che il trattamento più frequente per il sovrappeso e l’obesità (definita quest’ultima dall’OMS come una condizione clinica caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute) è la dietoterapia. Dimagrire è notoriamente un obiettivo complesso, soprattutto quando si attivano e diventano sempre più resistenti al cambiamento dei comportamenti che non aiutano a mantenere un peso ponderale che possiamo definire “salutare”.

È interessante osservare, intanto, come il fenomeno obesità venga attualmente descritto con criteri volti a considerare, in modo pressoché esclusivo, l’eccesso ponderale (Carano A. et al., 2005) e non prendendo in considerazione la componente psicologica ed emotiva. Se, però, andiamo a valutare le cause dell’obesità è ampiamente riconosciuto come i fattori interagenti siano molteplici e vanno a toccare diverse sfere, da quella alimentare a quella psicologica, passando per la sfera sociale nonché lo stile di vita.  Le persone obese, infatti, sono spesso riconosciute come persone che hanno un’alimentazione scorretta, che non fanno alcun movimento fisico e che, spesso, presentano degli aspetti emotivi depressivi ed ansiogeni che vanno ad essere compensati proprio attraverso il cibo che, molto frequentemente, assume le caratteristiche del “comfort food”.

Fino a qualche anno fa, il problema sembrava associato al mondo americano, legato all’alimentazione dei fast food e delle bibite gassate. Oggi invece rappresenta un problema significativo anche in Italia tanto da richiedere l’identificazione di trattamenti atti a ridurre il fenomeno e, tra questi, la chirurgia bariatrica (o chirurgia dell’obesità).

Ma quale ruolo giocano in questo contesto i fattori psicologici prima e dopo la chirurgia?

È importante sottolineare come gli aspetti emotivi abbiano un “peso” fondamentale nella riuscita dell’intervento e mantenimento del calo ponderale; la sola azione chirurgica non riesce, infatti, a modificare a lungo termine quegli atteggiamenti disfunzionali che sono stati la causa del rapporto problematico con il cibo.

Così, dal paziente che si iper-alimenta per gestire stati emotivi particolari, a quello che “utilizza” la barriera protettiva di adipe come meccanismo difensivo o, ancora, ad un individuo in cui lo stato di obesità sia funzionale a determinati “vantaggi” affettivi, appare chiaro che affidarsi  ai ferri chirurgici piuttosto che agli strumenti della psicologia e/o psicoterapia può apparire come la “soluzione” solo a chi vuole non vedere e non conoscere le cause del problema e le sue correlazioni con gli aspetti psicologici, spesso primari.

A tale proposito, le Linee Guida consigliate e adottate dalla “Società Italiana Chirurgia dell’Obesità” (S.I.C.OB.) individuano, come primo passo, proprio quello di eseguire una valutazione psicodiagnostica (oltre a quelle delle altre discipline coinvolte) atta ad individuare non solo le caratteristiche di personalità del paziente ma anche le eventuali controindicazioni specifiche per la chirurgia bariatrica, sottolineando l’importanza della psicologia ma ancora quasi esclusivamente nell’ambito valutativo e diagnostico.

È chiaro invece, da quanto sopra detto, come il ruolo dello psicologo possa essere fondamentale, oltre che nella valutazione dei possibili criteri di esclusione dalla possibilità di intervento, anche nell’individuazione delle caratteristiche di personalità del paziente, soprattutto in termini di risorse, al fine di contribuire al successo dell’intervento, inteso come risultati a lungo termine, attraverso un trattamento multidisciplinare. A tale scopo sarebbe utile focalizzare maggiormente gli studi sulle variabili psicosociali e comportamentali quali indicatori prognostici positivi o negativi per l’outcome chirurgico.

La letteratura ci dice che in alcuni casi la chirurgia bariatrica si è dimostrata fallimentare rispetto alla perdita di peso (Van Hout G.C.M. et al., 2006). Di solito i pazienti mostrano una riduzione del 50-60% dopo due anni dall’intervento ma, sfortunatamente, circa il 20% di essi fallisce nel perdere una significativa percentuale di peso. Questo fallimento, molto spesso, è attribuibile a fattori psicologici (Busetto L. et al., 2005). Malgrado, quindi, i benefici della chirurgia bariatrica, i fattori psicologici e comportamentali, verosimilmente, giocano un ruolo influente nell’outcome postoperatorio. Uno studio recente (Carnevale S., 2017), atto a rilevare l’efficacia dell’intervento di chirurgia bariatrica attraverso l’individuazione di determinate variabili psicologiche (ansia di stato, ansia di tratto, depressione, senso di autoefficacia) come indicatori personologici dell’outcome chirurgico, ha fornito risultati che sembrano andare nella direzione di poter confermare una relazione tra depressione, senso di autoefficacia e outcome chirurgico. In particolare, i pazienti del gruppo che hanno ottenuti punteggi maggiori nelle scale di valutazione della depressione e punteggi minori nelle scale di autoefficacia presentano un calo ponderale, a distanza di tempo, minore rispetto ai pazienti con minore sintomatologia depressiva e maggior senso di autoefficacia personale. Emerge, quindi, come tali variabili possano essere indicatori importanti di efficacia.

Allo stesso tempo, in merito alle conseguenze emotive di uno stato di obesità, uno studio condotto in America presso la UCSD Medical Center (Russo D., 2017) ha valutato come l’intervento chirurgico possa, in qualche modo, influenzare fattori psicologici ed emotivi dei pazienti, come il comportamento alimentare, l’umore, l’ansia e la qualità della vita. I risultati hanno dimostrato che, successivamente all’intervento, le persone tendevano a non iperalimentarsi più in risposta ad emozioni negative, parallelamente ad un calo dei sintomi depressive ed ansiosi. La qualità della vita migliorava anche se, essendo uno studio pilota, i risultati si basavano a tempi ravvicinati di 6 mesi post intervento.

È chiaro, quindi, come la componente psicologica sia associata ad una costellazione di variabili fisiche, psichiche e comportamentali che, se da una parte permettono l’individuazione di elementi comuni nella “sindrome” obesità, dall’altra lasciano ampio spazio alla possibilità di considerare la persona spiegabile e trattabile solamente se prendiamo in considerazione il suo vissuto, la sua personalità ma soprattutto comprendendo che funzione ha per quest’ultima il cibo. Pertanto, pur considerando l’intervento chirurgico una prassi incisiva (dal punto di vista biofisico) non possiamo aspettarci, ovviamente, che influenzi la ripresentazione di atteggiamenti, tratti e aspetti umorali di una persona.

Per questo motivo la presenza dello psicologo, sia nel pre che nel post operatorio, ha un’importanza fondamentale non solo nella valutazione ma anche nel supporto al paziente se non ritenuto momentaneamente pronto all’intervento. In particolare, lo spazio mentale che può contribuire a creare un intervento psicologico, in alternativa all’eccessivo spazio corporeo, ha come finalità quella di dare supporto ai cambiamenti che, in qualche modo, incidono sull’ identità della persona obesa che dovrà adattarsi alla nuova condizione fisica. In tal senso, il ruolo dello psicologo clinico all’interno dell’équipe bariatrica assume ancor di più rilevanza nella misura in cui possa estendere il suo intervento al monitoraggio della fase post operatoria. Così, la valutazione avrebbe senso non solo con lo scopo di individuare possibili predittori psicologici di successo, ma potrebbe rappresentare il punto di partenza per un programma psicologico individualizzato che possa favorire ed incrementare il successo ed il mantenimento dei risultati ottenuti favorendo l’integrazione con la sua nuova dimensione sia fisica che psicologica della persona in ogni contesto e sfera relazionale.


Devlin MJ. (2007) “International Journal of Eating Disorders”, Wiley Periodicals, Inc.
Alessandro Carano, Domenico De Berardis, Francesco Gambi, Maria Rosa Salerno, Daniela Campanella, Mariella Castrovilli, Carla Cotellessa, Filippo Maria Ferro (2005) “Figure psicopatologiche dell’obesità” Annali Italiani di Chirurgia, 2005; 76: 461-464
Gerbrand C. M. van Hout, Jack J. Jakimowicz, Frederiek A. M. Fortuin, Aline J. M. Pelle, Guus L. van Heck (2007) “Weight Loss and Eating Behavior following Vertical Banded Gastroplasty” Obes Surg. 2007 Sep; 17(9): 1226–1234. Published online 2007 Sep 27 doi: 10.1007/s11695-007-9205-0
Savastano S., Di Somma C., Barrea L. et al. “La chirurgia bariatrica in età adolescenziale” L’Endocrinologo (2013) 14: 169. doi:10.1007/BF03346082