Negli ultimi anni le scoperte neuroscientifiche hanno fornito importanti conoscenze sul funzionamento neurobiologico e sulle modificazioni epigenetiche implicate in molte manifestazioni psicopatologiche. Tuttavia, l’improprio utilizzo di queste conoscenze, rischia di giustificare il ritorno a paradigmi rigidamente deterministici, di stampo neolombrosiano, nella spiegazione della delinquenza giovanile. Pensare che la criminalità sia il prodotto di una evoluzione difettuale del cervello – senza considerare che i fenomeni comportamentali, sociali, rispondono a principi causativi non-lienari che consentono al massimo previsioni di carattere probabilistico – è un paradigma antiquato, che autorizza alcuni ad immaginare scenari di lotta al crimine in cui la scienza, attraverso le “neuroprevisioni”, possa anticipare e reprimere la violenza. Quella della previsione ante delictum dei fenomeni devianti, specie giovanili, è un’idea che rischia di giustificare politiche sociali e di giustizia segregative di chi non risulta “omogeneo” e di erodere gli spazi di libertà civile.