Contemporaneamente con l’accresciuto interesse per la componente psichica del danno biologico, si rileva, nella prassi forense, la tendenza a portare all’attenzione del mondo assicurativo una quantità sempre più crescente di situazioni dove la lesione dell’integrità psichica costituisce l’oggetto principale, ed a volte esclusivo, dell’allegazione. Si tratta di situazioni che nella maggior parte dei casi rappresentano oggetto di valutazione peritale.
Di pari passo alla richiesta di danno psichico della persona direttamente danneggiata si assiste sempre più a richieste di danno sofferto dai familiari del gravemente leso (danno da rimbalzo)o defunto per fatto illecito (danno da lutto) : l’evento-morta danneggia la salute del congiunto il quale agisce iure proprio per il ristoro integrato del danno personale. Lo psicologo giuridico è chiamato anche a valutare, con adeguata metodologia, se e quanto la grave menomazione o la morte costituiscono danno biologico di tipo psichico per i congiunti superstiti allorché la sofferenza “può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente con perdita di qualità personali” così come stabilito dalla Corte Costituzionale in caso di “danno da lutto” con sentenza n. 372 dell’ottobre 1994. E’ fondamentale, sia per la scienza che per il diritto, una distinzione concettuale tra ciò che propriamente costituisce un disturbo mentale (ed è quindi, eventualmente, inquadrabile come danno psichico) e ciò che eventualmente turba e sconvolge la vita delle persone coinvolte, senza tuttavia assumere rilievo in termini di nosografia psichiatrica. Da questa distinzione derivano importanti questioni: la natura delle evidenze da porre a sostegno dell’accertamento del danno psichico, la durata del danno psichico: temporaneo e/o permanente, l’opportunità di ricorrere ad una quantificazione tabellare simile a quella in uso per il danno di natura somatica, il confine concettuale tra danno psichico ed altri danni non patrimoniali (morale ed esistenziale).