L’immagine è questa: una giovane donna - seduta in quello che si intuisce essere il suo ambiente domestico, vestita di una semplice tutina grigia con le tasche davanti, i capelli biondi raccolti in una coda bassa, il trucco sobrio - con voce tremante vicina al pianto parla in video a chi la ascolta, ammettendo di aver fatto un grave errore, un errore di comunicazione, lo definisce. Il video è virale, viene fatto rimbalzare di piattaforma in piattaforma, suscita ancora commenti, quelli più sferzanti dei detrattori, quelli più solidali degli ammiratori. Per chi non avesse in mente la sequenza, si tratta del video in cui Chiara Ferragni parla per la prima volta in (al) pubblico dopo il terremoto della vicenda del pandoro Balocco, ammettendo di aver sbagliato a confondere il suo impegno nei confronti della beneficienza con le attività commerciali.
Un caso, in sintesi, di pubblicità ingannevole. Ma anche molto di più.
In questa scena sono messi a fuoco: un oggetto, la pubblicità; un contesto, i mezzi di comunicazione di massa; un meta-contesto, la costruzione di un personaggio attraverso l’esposizione mediatica. Anche chi attraversa queste scene con perizia navigata - ci dice tra l’altro la storia - può incorrere in insidiosi errori di valutazione.
Perché il web è volubile, incontrollabile, pervasivo, grossolano. E’ un luogo dove il trono e la forca sono raggiungibili in un batter d’ali. E’ un ambiente ancora relativamente nuovo, ed è anche un ambiente pieno di promesse e di opportunità. Ci dà la possibilità di raggiungere centinaia, migliaia di persone, di comunicare le nostre idee, di farci conoscere.
E’ quindi un atterraggio allettante anche per le attività professionali. «Non c’è buono o cattivo tempo, ma solo buono o cattivo equipaggiamento», pare abbia detto Robert Baden-Powell, eccellente storyteller e fondatore del movimento dello scoutismo. Come a dire: l’abilità nell’utilizzo degli strumenti assicura una buona navigazione.
Come ci riguarda tutto questo? La possibilità di promuovere la propria attività professionale sui social è un'opportunità che anche le psicologhe e gli psicologi stanno esplorando, in un naturale dialogo con le innovazioni di codici e linguaggi che permeano la società. Significa appartenere ai propri tempi, saperli leggere senza pregiudizi, essere aperti ai cambiamenti. Ma anche riflettere criticamente sui modelli di riferimento e vedere come adattare gli abiti in offerta alla propria misura. Perché un conto è mettere le foto delle vacanze su instagram imitando le posture delle star, un conto è, sullo stesso mezzo, costruire una credibilità professionale.
Quindi: abitiamo i social, ma come farlo bene? Le colonne d’Ercole che tracciano i confini di questo territorio sono il nostro Codice Deontologico e la normativa che regolamenta la pubblicità delle professioni sanitarie. Come professionisti della salute abbiamo precise responsabilità di tutela e trasparenza nei confronti della nostra utenza e riuscire a declinare questa responsabilità in un post di facebook può sollevare molti legittimi dubbi.
La Commissione Deontologica dell’Ordine del Lazio, coordinata da Pietro Stampa, ha messo a punto il Vademecum deontologico per l’auto-presentazione e l’esposizione degli psicologi e delle psicologhe nel web, con il preciso obiettivo di fornire indicazioni concrete per chiarire questi dubbi. Risponde a questo tipo di domande: «Posso condividere a fini divulgativi nel mio profilo social delle sintetiche indicazioni diagnostiche che consentano ai follower di effettuare una prima valutazione circa le caratteristiche psicologiche delle persone con cui entrano in relazione?» (Per es. “Le dieci caratteristiche del manipolatore abituale”, “Come riconoscere un amore tossico”, “Vi spiego come si comporta un narcisista”...)?”; “E’ obbligatorio tenere separati un profilo professionale e un profilo personale sui social?”.
Il Vademecum è uno strumento che, oltre a dare risposte concrete a domande concrete, aiuta le psicologhe e gli psicologi ad allenare uno sguardo critico nei confronti della visibilità della propria azione professionale, laddove per fondazione e storia la psicologia ha sempre avuto una vocazione al riserbo e una conseguente diffidenza nei confronti dell’esposizione. Invece il lavoro della Commissione Deontologica ci aiuta a pensare che si può fare, basta avere l’equipaggiamento giusto.