L'omobilesbotransfobia

Il maggiore fattore di rischio delle persone lgbt+

Lo scorso 23 maggio la referente del Progetto Pari opportunità dell’Ordine, Paola Biondi, è stata ospite di un evento organizzato dall’associazione romana Aurelio in comune.

L’intento era di parlare della necessità di una legge contro l’omobilesbotransfobia, che tuteli in modo finalmente chiaro e definito le vittime di discriminazioni e violenza per il loro orientamento sessuale o identità di genere.

Nel suo intervento si è concentrata sulla difficoltà che incontrano le persone lgbt+ in diversi contesti: scuola, lavoro, reti sociali, famiglia, con particolare attenzione a quest’ultima visto che un’adeguata azione informativa permetterebbe di rispondere alle tante domande e dubbi, e diradare qualche timore di troppo, che molti genitori incontrano.

Ogni persona ha un bisogno comune e profondamente radicato: quello di essere vista e riconosciuta e di poterlo fare in ogni contesto da lei “abitato”. La scuola, la famiglia, il mondo lavorativo, tutte le pubbliche amministrazioni.

I contesti che inviano messaggi inclusivi sono anche quei contesti che rendono resilienti i soggetti, che li equipaggiano non solo a resistere agli urti delle discriminazioni, delle violenze, ma a valorizzare la propria identità cambiando la narrazione sociale in narrazione positiva.

Le istituzioni sono in una posizione privilegiata per innescare l’inclusione sociale e prevenire l’omobilesbotransfobia e l’intervento allo stesso evento, della consigliera regionale Marta Bonafoni, promotrice di una delle proposte di legge regionale contro le discriminazioni di cui stiamo parlando, ha confermato la necessità che la politica – e non solo – si faccia carico di questi aspetti.

L’Ordine Psicologi del Lazio, infatti, ha avuto l’opportunità di intervenire in un’audizione presso la IX Commissione della Regione Lazio, dando il suo contributo scientifico al documento unificato che ha raccolto e integrato le varie proposte di legge contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.

Trattandosi di componenti nucleari dell’identità, sia orientamento sessuale che identità di genere, costituiscono le fondamenta dell’identità stessa e per questo motivo essere in grado di individuarle ed esprimerle in piena libertà, senza stigma, discriminazione, esclusione e violenza è fondamentale per la propria salute e benessere psicologico (WAS, 2007).

La letteratura scientifica internazionale insegna che l’omo-bi-lesbo-trans-fobia è considerata il fattore di maggiore rischio per la salute delle persone LGBT+.

La ferita inferta nei casi di discriminazione per orientamento sessuale o identità di genere è una ferita profonda, profondamente lesiva dell’autostima della persona, del senso intimo di sé stessa; intacca e perpetua la percezione di sé stessa come sbagliata, favorendo lo sviluppo di sintomi depressivi, disturbi d’ansia, maggiore utilizzo di sostanze, tentati suicidi, soprattutto durante l’adolescenza. 

Tutto questo non per il fatto di essere gay, lesbica o trans, ma per il fatto di essere discriminati e discriminate in quanto gay, lesbica, trans.

Un altro aspetto è che le persone quando sono discriminate su questa base identitaria, proprio per l’esistenza di omo-bi-lesbo-trans-negatività sociale rischiano di non chiedere aiuto, di avere timore di chiedere aiuto, di pensare di non avere diritto a farlo. È ben noto il fenomeno conosciuto come undereporting (mancata denuncia).

Per esempio sappiamo che:

  • il 62% delle persone lgbt+ afferma di non dichiararsi mai o quasi mai;
  • il 23% dichiara di farlo abbastanza;
  • solo il 15% afferma di farlo sempre.

[Fonte: Report annuale Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali – FRA]

Il modello psicosociale del Minority Stress (Stress da minoranza) fa riflettere sul fatto che non è solo la discriminazione esperita, subita, che ha un impatto sulla salute, ma anche la cosidetta “discriminazione anticipata”, cioè il timore, la paura di essere discriminati che di fatto produce degli effetti sulla salute con la conseguenza di allontanarsi da contesti medici o educativi per esempio.

Questo modello evidenzia anche come il minority stress sia mediato non solo da aspetti individuali, cioè dalle risorse che ha l’individuo, ma anche da aspetti di contesto. Gli atteggiamenti discriminatori assumono diverse forme, proprio perché si parla di assetti identitari complessi di cui si deve tenere conto, soprattutto nell’ottica di creare contesti sociali inclusivi.

Pur riconoscendo il valore del sostegno sociale della rete amicale o tra pari e – se supportiva – anche familiare, solo un servizio psicologico professionale può garantire diversi livelli di intervento, dal sostegno psicologico alla riduzione del danno subito dalle vittime, dalla progettazione di programmi di prevenzione a ricerche-intervento in contesti sociali, educativi, territoriali.

Spesso le persone, sebbene necessitino di un intervento psicologico professionale immediato, non hanno la capacità economica di accedere a risorse private e – ancora oggi – il servizio pubblico fatica ad accogliere la richiesta della cittadinanza in tempi brevi. E purtroppo ci sono ancora psicologi e psicologhe che hanno visioni piuttosto “creative” delle persone lgbt+ e delle discriminazioni che subiscono.

L’intervento immediato post-trauma può, se effettuato a ridosso dell’episodio di discriminazione e violenza, ridurre notevolmente e in modo stabile il danno psicologico, come la psicologia dell’emergenza insegna.

Per questo motivo l’Ordine ha suggerito l’istituzione di un fondo finanziato dalla Regione, al pari di quello istituito per la copertura di spese legali, che possa coprire le spese per un percorso di sostegno psicologico e psicoterapia ritenuto fondamentale per sostenere le vittime e assorbire il danno identitario e strutturale di cui ho accennato prima.