Mamma, non voglio più vederti

Prim'Ordine. Storie di una Consiliatura

Silvio ha undici anni, la sua storia familiare somiglia a molte altre storie familiari abitate dal conflitto e alla fine dalla separazione della coppia genitoriale. Silvio è cresciuto in un ambiente domestico che si è progressivamente deteriorato, le liti tra i genitori sempre più frequenti, gli strappi e le ricongiunzioni a distanza sempre più ravvicinata. Quando la madre e il padre gli hanno comunicato che si sarebbero separati, Silvio ha accolto la notizia quasi con indifferenza. Il padre, di comune accordo tra i genitori, ha trovato un altro appartamento, Silvio e la madre sono restati nella casa dove il ragazzo è cresciuto. Le abitudini esterne cambiano poco, i genitori si alternano nell’accompagnarlo a scuola e allo sport, la differenza più grande è nei fine settimana, in cui Silvio si trova ad abitare anche il nuovo spazio del padre. I genitori si sforzano di mantenere una relazione civile, almeno nella gestione di Silvio, ma un cambiamento c’è stato, eccome, e i suoi effetti si manifestano giorno dopo giorno. La mamma, che è sempre stata molto presente e dedicata alla vita familiare, si apre a possibilità nuove di espressione di sé, a nuovi contesti e nuove esperienze: a casa appare più distratta e meno coinvolta nelle attività che scandiscono il quotidiano domestico. Il padre, che percepisce in modo più acuto il distacco, si impegna nella creazione di momenti di gioco e di intimità con il figlio come non aveva mai fatto prima. Silvio manifesta un interesse sempre maggiore verso questa nuova alleanza con il padre a discapito della condivisione della vita domestica con la madre. Sempre più spesso chiede di rimanere tempo ulteriore a casa del padre, nella relazione con la madre si fanno più frequenti e drammatici episodi in cui Silvio manifesta opposizione e rifiuto. Fino a quando - in coda ad una crisi - dice apertamente: “mamma, non voglio più vederti”. Non è la reazione del momento, come dice il padre minimizzando e come la madre, ansiosa di non caricare il figlio di ulteriori costi rispetto a quelli già onerosi della lunga vicenda giudiziaria con l’ex marito, tenta di accoglierla all’inizio. Il rifiuto di Silvio si fa più profondo e si carica di ostinazione e di rabbia. Non vale l’attesa e neanche la costrizione. 

Il conflitto all’interno della famiglia di Silvio non si è risolto con la separazione, sta soltanto prendendo una nuova, inedita, forma. La separazione è la traccia più manifesta di un dolore che attraversa le relazioni e crea dinamiche psicologiche complesse che riguardano il nucleo familiare nella sua totalità: il trauma, l’apice, è sostenuto da lacerazioni sommesse che minano quel tessuto familiare nelle sua fondamenta e generalmente da lungo tempo: sensi di colpa, triangolazioni e manipolazioni affettive, strumentalizzazione dei legami, implicite richieste di alleanze esclusive, delusione, rancore, svalutazione - questo si esprime nei nuclei familiari altamente conflittuali.

Per questo motivo, quando c’è un caso di rifiuto genitoriale da parte di un figlio (ovviamente in quelle situazioni, e sono la maggioranza, dove non c’è violenza), quel comportamento è sintomo di una disfunzionalità relazionale e affettiva che riguarda il sistema famiglia nel suo insieme e come tale va trattato. 

Negli anni la sinergia tra i saperi della giustizia e quelli della psicologia nel processo di famiglia ha fatto molti passi avanti, con l’obiettivo di riportare la litigiosità distruttiva al livello della conflittualità negoziale, su cui produrre atti non più imposti in forma adempitiva dall’autorità del giudice, ma in qualche modo condivisibili, e realmente focalizzati sull’interesse del minore, fuori da istanze individualistiche, ritorsive e competitive. 

All’interno di questa convergenza, il 22 gennaio del 2018, l’Ordine degli Psicologi del Lazio ha dato il via al progetto di ricerca e intervento “Prevenire e curare la rottura delle relazioni genitoriali nelle situazioni di alta conflittualità”, che si è poi sviluppato attraverso la sottoscrizione di un Accordo di collaborazione in tema di alta conflittualità nelle relazioni genitoriali con il Tribunale Ordinario di Roma, sezione famiglia e minori.

La ricerca-intervento ha consentito di delineare una procedura ad hoc per la tipologia di famiglie con un rifiuto genitoriale in atto, promuovendo al contempo uno spazio di intervento dello psicologo come ausiliario del giudice, che è entrato, proprio a partire da questa collaborazione, all’interno delle previsioni normative della c.d. “legge Cartabia” (L. n. 206/2021).

Dalle riflessioni intorno a questo lavoro, è emerso chiaramente che i figli che rifiutano un genitore agiscono il tentativo di allontanare un dissidio lacerante, nonostante il costo emotivo che questo agito comporta. Gli studi che hanno indagato questo fenomeno non sono ancora molti, ma per il professionista psicologo può essere molto coinvolgente indagare un campo in cui le dinamiche intrapsichiche e relazionali si costellano con forza e ricadono su delicate configurazioni di realtà. L’intervento dello psicologo come ausiliario che facilita la relazione è essenziale per l’esito della situazione conflittuale, e lo è in tutte le fasi del processo e con tutti gli attori coinvolti. Affinché un figlio in una posizione di rifiuto genitoriale come Silvio possa aprirsi a contemplare un riavvicinamento, è importante che tutta la famiglia si muova in questa direzione, anche il genitore “preferito”, che deve poter rinunciare a una posizione di maggior controllo e percepita tutela in vista di un equilibrio più sano in futuro. Il genitore rifiutato, da parte sua, deve avere costanza, garantire affidabilità e tenuta, assorbire la frustrazione, consentire che il tempo del riavvicinamento possa anche essere molto lungo. Infine, il figlio deve accettare di perdere il vantaggio diretto del rifiuto, che normalmente, come abbiamo accennato, è una posizione di difesa per ridurre l’ambiguità emotiva e gli effetti dell’ansia che questa produce, in favore di una accettazione della complessità inevitabile che accompagna le situazioni di conflitto.  

L’azione congiunta su questo tema dei Gruppi di Lavoro “Psicologia Giuridica” e Gruppo di Lavoro “Psicologia e formazione specifica nella valutazione e nell'intervento sulle dinamiche familiari caratterizzate da alta conflittualità” dell’Ordine si è tradotta anche in un volume, presentato a Roma nel 2022 (Prevenire e curare la relazione genitori-figli in situazioni di separazione o divorzio), che ne esamina le componenti sotto i profili psicologico e giuridico e fornisce buone prassi per l’intervento in questo contesto. Un tassello fondamentale nella costruzione di assetti che, a partire dal conflitto, possano edificare scenari ancora generativi.