Basata su ampi studi clinici e studi storici, ispirati in particolare dal lavoro pionieristico di Pierre Janet, la teoria della dissociazione strutturale della personalità, sviluppata dal relatore e dai suoi colleghi, è un tentativo collaborativo di dare un senso a ciò che accade alle persone quando sono traumatizzate e rimangono tali. La teoria sostiene che le esperienze traumatiche siano fallimenti integrativi, o piuttosto azioni integrative sostitutive di ordine inferiore, che si traducono in una divisione della personalità del sopravvissuto, cioè del sistema biopsicosociale dinamico nel suo insieme che determina le caratteristiche azioni mentali e comportamentali di un individuo. Questa divisione include due o più sottosistemi non sufficientemente integrati, chiamati parti dissociative della personalità (noti anche come stati del sé). Alcuni di loro esercitano funzioni legate agli obiettivi nella vita quotidiana; altri sono bloccati in esperienze traumatiche e implicano fallimenti difensivi, cioè contengono i ricordi traumatici del sopravvissuto. Quanto più grave è la traumatizzazione e quanto prima è iniziata, tanto più ci si può aspettare che esistano parti dissociative, che coinvolgono disturbi dissociativi più complessi correlati al trauma.
Il trattamento suddiviso in fasi è allora lo standard terapeutico e mira tra le altre cose a superare sistematicamente un gran numero di fobie che mantengono la dissociazione della personalità, incluse le memorie traumatiche irrisolte, e quindi un funzionamento non ottimale.
L’intero trattamento comporta l’aumento dell’adattabilità e della capacità integrativa del paziente, cioè l’aumento della salute mentale.