Ufficiali Psicologi possono svolgere libera professione

La Corte Costituzionale accoglie le ragioni dell’Ordine degli Psicologi del Lazio. Una sentenza storica per la professione

L’Ordine degli Psicologi del Lazio è lieto di condividere con la comunità professionale un’importante vittoria nell’ambito della Tutela della professione.

Dopo anni di contenzioso, con sentenza n. 98 del 18 maggio 2023 la Corte Costituzionale ha accolto le ragioni dell’Ordine e di alcuni iscritti Ufficiali Psicologi dell’esercito, dichiarando incostituzionale l’art. 210, comma 1 del D.lgs. 66/2010 (“Codice dell’Ordinamento Militare”), nella parte in cui esclude gli Psicologi militari dalla deroga alle incompatibilità, invece concessa ai Medici militari, ai fini dell’esercizio dell’attività libero professionale esterna senza vincolo di occasionalità.

La vicenda giudiziaria era iniziata nel 2008, quando l’Ordine impugnò la Circolare con cui la Direzione Generale per il personale Militare aveva ritenuto obbligatorio indicare sull’Albo un divieto di libera professione per gli Psicologi militari. Secondo il parere dell’Ordine, la circolare in questione travisava il contenuto dell’art. 8 della Legge istitutiva della professione di psicologo (L. n. 56/1989): piuttosto che prevedere nei confronti dei dipendenti pubblici un divieto assoluto di svolgimento della libera professione, l’articolo in questione dispone, infatti, un più generico obbligo, per gli intenzionati a operare anche come liberi professionisti, a fornire prova della relativa autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza. Attraverso tale formulazione dell’articolo, quindi, il Legislatore ha ritenuto configurabile, o meglio possibile in presenza di determinati requisiti, la compatibilità tra la condizione di dipendente pubblico e lo svolgimento della libera professione, contrariamente a quanto desunto dal Ministero.

Parimenti infondata e degna d’impugnazione era apparsa inoltre all’Ordine la tesi con cui il Ministero consentiva esclusivamente agli Ufficiali Medici lo svolgimento della libera professione nei confronti dei civili, appellandosi alle norme sull’esercizio delle professioni sanitarie nelle Forze Armate. Sotto questa prospettiva, il Ministero tralasciava di considerare il vasto corpus normativo che chiaramente include la professione di psicologo all’interno dei ruoli sanitari rendendola perciò meritevole delle stesse prerogative riservate alla professione medica.

Nel settembre 2016, il TAR per il Lazio – chiamato a pronunciarsi sulla legittimità degli atti con cui il Ministero aveva respinto le istanze presentate dagli Ufficiali Psicologi dell’Esercito perché prive dei pareri gerarchici e della dichiarazione probatoria sull’occasionalità della prestazione – aveva dichiarato inammissibile il ricorso dell’Ordine.

L’impegno dell’Ordine per tutelare la professione è però proseguito dinanzi al Consiglio di Stato. I Giudici di Palazzo Spada, ritenendo invece ammissibili le ragioni dell’Ordine, hanno sottoposto alla Consulta alcune importanti questioni di legittimità costituzionale. La Corte Costituzionale ha così rilevato la disparità di trattamento denunciata dall’Ordine e dai diretti interessati, affermando che anche di fronte ad una norma speciale nella sua portata derogatoria a vantaggio dei soli Medici, non può escludersi la comparazione tra situazioni analoghe potenzialmente oggetto della norma più vantaggiosa.

Per la Consulta, 

Poiché entrambi i professionisti — medici e psicologi militari — erogano prestazioni volte anche alla tutela dell’integrità psichica e, oggi, rientrano nell’unitaria categoria del personale militare abilitato all’esercizio della professione sanitaria, essi vanno equiparati sotto il profilo che qui viene in rilievo, quello della facoltà di svolgere la libera professione. Ciò a prescindere dall’eventuale diversità di ruoli e di progressione di carriera, che può riscontrarsi nell’ambito dei rispettivi corpi sanitari di appartenenza. Anche perché, alla luce dell’analisi sin qui svolta, non emergono ragioni che giustificano il riconoscimento della predetta facoltà esclusivamente ai medici militari. 

E ancora, si legge nella sentenza, 

Poiché, come detto, le due fattispecie poste a confronto — quelle dei medici e degli psicologi militari — rispondono alla medesima ratio derogandi e manca una giustificazione ragionevole e sufficiente a circoscrivere la norma censurata solamente ad una di essa, quella dei medici appunto, deve ritenersi sussistente la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. Il limite all’estensione dell’art. 210, comma 1, cod. ordinamento militare che, pur costituendo una deroga a principi generali, è espressione di una ratio comune a medici e psicologi addetti al SSM, è, quindi, motivo di illegittimità costituzionale. Tra l’altro, l’estensione agli psicologi militari della facoltà di esercitare la libera professione viene a determinare una situazione parallela, limitatamente a questo specifico profilo, a quella, prima menzionata, prevista per gli psicologi ‘civili?’ nel SSN. E ciò ferma restando la piena autonomia dei due sistemi sanitari, quello militare e quello nazionale.

Quella appena pronunciata è una sentenza storica, sia perché ribalta un atteggiamento ostruzionistico del Legislatore verso la categoria professionale degli Psicologi in ambito militare, sia perché in motivazione enfatizza gli sviluppi della professione di psicologo attestandone il progressivo riconoscimento anche in termini normativi.

Il Consiglio di Stato dovrà ora pronunciarsi nel merito e accogliere i ricorsi degli Ufficiali Psicologi che, sostenuti dall’Ordine, avevano avanzato istanza di esercizio della libera professione esterna al fine di sottoporre a giudizio i provvedimenti di rigetto.

Il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri ha reso noto che, a partire dal 25 maggio 2023, la circolare del 2008 oggetto di impugnazione è stata abrogata nella parte in cui imponeva di indicare sull’Albo professionale il divieto di esercizio della libera professione per gli Psicologi Militari. Gli Psicologi Militari potranno dunque esercitare la libera professione senza necessità di autorizzazione preventiva, pur rimanendo in vigore l’obbligo di comunicazione al Comando di Corpo.