Il contributo della psicologia alla prevenzione dei tumori

I tre livelli di prevenzione del cancro

a cura della Professoressa Manuela Tomai, componente dell'Osservatorio Psicologia in Cronicità

Il cancro è tra le principali cause di mortalità nel mondo, con quasi 10 milioni di decessi, secondo l’ultima stima dell’OMS (WHO, 2022). Il maggior numero di morti è dovuto a tumori del polmone, della prostata e del colon-retto negli uomini e del polmone, della mammella e del colon-retto nelle donne (Siegel et al., 2021). Si prevede che i casi di cancro nel mondo aumenteranno del 75%, raggiungendo quasi i 25 milioni nei prossimi due decenni.

Solo il 5-10% di tutti i casi di cancro può essere attribuito a difetti genetici, mentre il restante 90-95% ha le sue radici nell'ambiente (infezioni virali, batteriche e parassitarie, esposizione ai raggi UV, presenza di inquinanti..) e nello stile di vita (Anand et al., 2008). Sebbene, infatti, tutti i tumori siano il risultato di mutazioni multiple (Hahn & Weinberg, 2002) queste mutazioni sono dovute all'interazione con l'ambiente (Mucci et al., 2001). Un recente articolo (Dunn, et al, 2015) ha documentato che circa il 30% dei decessi per cancro sono attribuibili a stili di vita modificabili, fattori di rischio comportamentali e psicosociali: consumo di tabacco e alcol, dieta scorretta, inattività fisica, comportamento riproduttivo ad alto rischio. Interventi efficaci possono contenere questi comportamenti a rischio e potenzialmente ridurre la metà delle patologie oncologiche (Vineis, et al., 2014.). 

La ricerca degli ultimi 40 anni ha dimostrato in modo convincente che i fattori dello stile di vita svolgono un ruolo importante nell'incidenza e nella mortalità del cancro. Gli studi innovativi di Doll e Peto negli anni '80 (Doll & Peto, 1981; Dart et al., 2012) e le innumerevoli ricerche che questi lavori hanno ispirato, stimano che oltre la metà di tutti i tumori - e fino a tre quarti di alcuni tumori specifici - potrebbero essere evitati combinando uno stile di vita sano e uno screening regolare (Blot, & Tarone, 2015).
Quella preventiva, quindi, appare la strategia a lungo termine più logica ed economicamente vantaggiosa per il controllo del cancro. 

La prevenzione, anche quella oncologica, si distingue nelle note categorie, primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione primaria è attuata evitando, interrompendo, riducendo l’esposizione ai “fattori di rischio” o fortificando le difese (i “fattori protettivi”) dell’organismo. La prevenzione secondaria si concentra sull'individuazione presintomatica, per prevenire la progressione o il deterioramento della malattia precoce o latente. L'obiettivo, in questo caso, diventa quello di individuare precursori di malattie su cui possono concentrarsi gli interventi terapeutici. Infine, nella prevenzione terziaria la malattia è accertata e nota e l’intervento mira a contenere gli effetti negativi della malattia, riducendo al minimo le complicazioni residue legate alla patologia e al trattamento, riabilitando un paziente al suo stato funzionale.

Quale è il contributo offerto dalla competenza psicologica al perseguimento dei tre livelli di prevenzione del cancro?

Gli stili di vita delle persone sono sostanziati dai comportamenti individuali; i comportamenti, perciò, possono essere considerati “passaggi di mediazione” tra i fattori ambientali e relazionali e gli esiti del cancro (Hiatt, R. A., & Breen,2008). 

Se i comportamenti costituiscono elementi critici nel processo di prevenzione della malattia oncologica, l’intervento psicologico è potenzialmente in grado di contribuire al perseguimento di obiettivi di prevenzione secondaria e terziaria ma anche primaria, a seconda del momento in cui, all’interno del decorso del cancro (Cancer control continuum: assenza di malattia, cancro preclinico, diagnosi, trattamento, fine vita, morte) (National Cancer Institute, 2011)  l’intervento di modifica del comportamento viene attuato. La prevenzione secondaria e terziaria ha maggiore riconoscibilità e tradizione, sia in ambito scientifico che non. Ad esempio, variabili personali come i dati socio-demografici e gli stili di coping, processi di adattamento alla malattia sono stati ripetutamente oggetto di studi che miravano a misurarne l’impatto sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza (ad es: Lauriola & Tomai, 2019; Peters et al, 2019; Cheng et al., 2019). In ambito di prevenzione secondario e terziario ricordiamo anche gli interventi psico-oncologici consolidati, gli interventi mirati a modificare gli stili di vita (dieta, attività fisica o fumo) del paziente sopravvissuto (Spencder et al. 2016) come anche interventi diretti a controllare gli effetti collaterali correlati al trattamento (Mundy et al. 2003) o affrontare lo stress correlato al cancro (Rouleau, et al., 2015).

Relativamente alla prevenzione primaria, rimane ancora poco accreditata seppur molto promettente, la possibilità di intervenire su “fattori protettivi”. Tra questi non possono non essere menzionati la regolazione delle emozioni (Gross, 1998) e il supporto sociale (Thoits, 2011).

La regolazione delle emozioni fa riferimento ai processi con cui gli individui influenzano le emozioni che provano, come le vivono ed esprimono. Una efficace gestione delle emozioni correla con condizioni di salute (fisica e mentale) e con processi di coping adattivo.

Le emozioni sono caratteristiche biologicamente basilari del funzionamento umano, l'apprendimento di una loro efficace regolazione costituisce una tappa fondamentale dello sviluppo (National Research Council e Institute of Medicine, 2000) e un importante fattore protettivo. I modelli di funzionamento emotivo emersi nell'infanzia si mantengano inalterati fino all'età adulta (De Steno et al., 2013); studi longitudinali hanno documentato come tali modelli di funzionamento, quando disfunzionali, si associno a una serie di esiti di salute fisica (Kubzansky et al., 2009), obesità (Goodwin et al., 2009), infiammazione (Appleton et al., 2011). E’ documentata, infine, una relazione tra alessitimia e malattie neoplastiche, quali il carcinoma mammario (Manna et al., 2007 ) e uterino (Carta et al, 2000) e l’adenocarcinoma al colon (Lauriola et al. 2011). La difficoltà nell'identificare i sentimenti e il pensiero orientato verso l'esterno sono risultati gli aspetti più importanti legati al processo della malattia.

Il supporto sociale è un costrutto complesso che si riferisce alle varie forme di aiuto che una persona può scambiare all'interno della rete di relazioni a cui partecipa (Thoits, 2011); esso porta gli individui a percepire di essere curati o di ricevere assistenza e conforto dagli altri quando ne hanno bisogno (MacGeorge et al, 2011).

Ampi studi, epidemiologici e non, realizzati nei decenni successivi al celebre Alameda study (Berkman, & Syme, 1979), hanno fornito prove chiare e convincenti che la presenza e la qualità delle relazioni strette sono tra i predittori più affidabili e robusti della malattia e della durata della vita (ad es.: Holt-Lunstad et al., 2017; Vila, 2021), paragonabili ai fattori di rischio biomedici e comportamentali (Holt-Lunstad, et al, 2015; Schetter, 2017).

Gli studi condotti in questi decenni hanno rinforzato l’idea che le reti sociali esistenti nella comunità contengano potenziali risorse supportive, protettive della salute e della qualità della vita, che l’intervento psicosociale può promuovere, tutelare o ripristinare.

Queste conoscenze scientifiche sono state, con il tempo, recepite anche dalle principali organizzazioni sanitarie. L'Organizzazione Mondiale della Sanità, ad esempio, ha inserito le reti di supporto sociale tra i più importanti determinanti della salute (Commission on Social Determinants of Health, 2008). Il supporto sociale delle reti informali (familiari e amici) gioca un ruolo cruciale nel favorire la gestione dei problemi psicologici derivanti da un cattivo adattamento al cancro e/o al suo trattamento (Rizalar et al., 2014); tuttavia, studi recenti, hanno riportato correlazioni positive significative tra supporto sociale e outcomes di salute organici, quali insorgenza del tumore, proliferazione cellulare, durata della vita (ad es: Ikeda et al., 2013; Yağmur & Duman, 2016).

Ciò che emerge da questa breve disamina è che la patologia oncologica coinvolge l'intero spettro dell'attività scientifica, dai geni alla società; per questo motivo una prospettiva di ricerca transdisciplinare può essere l'approccio più efficace per comprendere i meccanismi complessi e multilivello che sono alla sua base (Hiatt & Breen, 2008). Per compiere ulteriori progressi significativi nella ricerca sul controllo del cancro, è necessario, perciò, approccio scientifico che impari a tener conto delle determinanti psicosociali del cancro e cerchi di scoprire le interazioni tra fattori socio-ambientali, psicologici, comportamentali e biologici nell'eziologia della malattia. La ricerca sul cancro è un esempio di come le complessità della scienza moderna richieda team multidisciplinari all’interno dei quali la psicologia può portare un contributo efficace e documentato.

Ciononostante, “voce assente” (Dunn, et al. 2015)...), e “tassello mancante” (Rosberger et al. 2015) sono espressioni ancora usate da autori illustri per definire il ruolo della competenza psicologica nel campo della prevenzione dei tumori.


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